venerdì 24 gennaio 2014

Articoli scuola di giornalismo - Fiorella Ialongo

Il volontariato contro la violenza
Parlare del problema della violenza sulle donne non è agevole. Il rischio è quello di limitarsi a formulare condanne su cui tutti sono d’accordo quando le vittime hanno soprattutto bisogno di azioni concrete in loro aiuto. In questa linea si pone il convegno organizzato dall’Anteas unitamente a CISL, FNP E SIULP sul tema: “Il volontariato contro la violenza: azioni e proposte per difendere la dignità delle donne”. In questa occasione è stata presentata la “Dichiarazione di intenti” sottoscritta dalle sigle precedentemente citate. Essa parte dalla constatazione che non esistono ancora percorsi operativi coordinati, consolidati e condivisi tra tutte le forze che possono entrare in gioco nei casi di violenza sulle donne, sui bambini, sugli anziani e, più in generale, sui soggetti più deboli. Il riferimento è, ad esempio, alle forze dell’ ordine, ai servizi sociali, agli ospedali (ai loro pronto soccorso), alle associazioni di volontariato che offrono sostegno psicologico, giuridico, la cui azione potrebbe essere potenziata da un sistema di risposte integrato, differenziato e flessibile rispetto alle diversità delle domande dei soggetti cui è diretto. Questa presa di coscienza si pone all’interno del processo di cambiamento della concezione di violenza che il Parlamento italiano ha colto e promosso con recenti disposizioni legislative (come quella contro lo stalking). Il termine processo non è casuale in quanto denota il carattere di successione di diversi fenomeni legati fra loro e lascia spazi aperti per indagini successive. Un primo riferimento in questo senso è stato evidenziato, nel convegno, dalla presidente del Telefono Rosa, Maria Gabriella Moscatelli, la quale ha affermato che la donna vittima di una violenza dovrebbe essere riconosciuta come persona nella sua individualità e non come mera portatrice di un disagio. Questa significa cercare di elaborare interventi più complessi, superando quelli centrati esclusivamente sull’individuo, come la psicoterapia, a favore di quelli che considerano anche il contesto familiare e quello sociale di cui la vittima fa parte. In altri termini, si tratta di favorire un cambiamento culturale che è stato precisato dagli interventi successivi di Arnaldo Chianese, presidente ANTEAS, Paola Panerai, vicepresidente ANTEAS, Linda Sabbadini, dirigente ISTAT, Maria Trentin, Coordinamento Donne FNP – CISL Nazionale, Liliana Ocmin, segretario nazionale CISL, Ermenegildo Bonfanti, Segretario generale FNP – CISL, Francesco Cirillo, vicecapo Polizia di Stato. Il volontariato ed il sindacato producendo “beni relazionali” (cioè di relazione tra persone) costituiscono alcuni degli attori principali delle politiche a favore delle categorie svantaggiate poiché, nella stragrande maggioranza dei casi, le vittime di violenza (donne, bambini, anziani) vivono in una situazione di solitudine relativa, sono cioè privi di una rete relazionale che li possa proteggere. Ne deriva che un’azione mirata nei loro confronti comporta su un piano individuale: 1) di favorire un processo di consapevolezza passando da una condizione che loro ritengono di “inferiorità” ad una percezione di sé positiva e ad una presa di coscienza dei propri diritti. Su un piano collettivo, al volontariato ed ai sindacati è richiesto di porsi come “area di mediazione” per i seguenti, possibili interventi: rilevazione del disagio e progettazione degli interventi; promozione della collaborazione tra i soggetti istituzionali e altri di solidarietà sociale; valutazione, monitoraggio e verifica di esperienze; promozione di iniziative di formazione e sensibilizzazione in collaborazione con altre istituzioni, in primis la scuola. Il frutto di quest’azione sinergica potrà produrre un bene che sarà sociale non tanto per le sue caratteristiche intrinseche, ma per il processo che lo avrà generato. In altri termini, la realizzazione di un “prodotto sociale” è l’individuazione ed il consolidamento di connessioni e scambi finalizzato all’ empowerment da intendersi non come processo di un aumento di potere di un individuo su un altro, ma nella prospettiva delineata precedentemente, alla consapevolezza che l’ambiente non è un’alterità ostile ma può svelare aperture e possibilità. In questa linea merita particolare attenzione il decreto legislativo che ha eliminato la distinzione tra figli legittimi e naturali che è stato illustrato, nel corso del convegno, dal Sottosegretario al Ministero della Giustizia Cosimo Maria Ferri, il quale ha personalmente seguito l’iter parlamentare del provvedimento.

Il decreto legislativo sulla filiazione
Nel corso del convegno organizzato dall’Anteas unitamente a CISL, FNP E SIULP sul tema: “Il volontariato contro la violenza: azioni e proposte per difendere la dignità delle donne” è stata evidenziata l’importante riforma sulla filiazione. Essa è stata illustrata dal Sottosegretario al Ministero della Giustizia Cosimo Maria Ferri, il quale ha affermato che è finalmente scomparsa dall’ordinamento giuridico italiano la distinzione tra figli legittimi e naturali che è stata sostituita da quella unica di figlio. Non vi sono più “fratelli” e “fratellastri”. E’ un cambiamento linguistico frutto di una lunga e difficile battaglia culturale e giuridica che affonda le sue radici nella struttura normativa del Codice civile del 1942. Esso poneva sostanzialmente un’ accentuata dualità tra i figli di coniugi sposati e non, evidenziando la propria propensione per la famiglia fondata sul matrimonio. La conseguenza, di diritto e di fatto, era che i figli legittimi (ossia con genitori legati da un vincolo ufficiale) godevano di una serie di prerogative a danno di quelli naturali (ovvero di genitori non sposati). Un esempio esplicativo riguardava il “diritto di commutazione”, ossia la possibilità di liquidare la quota spettante al figlio naturale da parte di quello legittimo, escludendo il “fratellastro” dall’asse ereditario. Questo stato di cose corrispondeva ad una evidente discriminazione che si è cercato di eliminare, in parte, sia con l’art. 30 della Costituzione, sia con la riforma del diritto di famiglia del 1975. Tuttavia le differenze, per quanto limate, persistevano. La nostra legislazione continuava a non considerare i continui e profondi cambiamenti nella società, che sempre più figli nascevano fuori dal matrimonio, erano adottati o concepiti con l’ausilio di tecniche di fecondazione assistita. Con il provvedimento legislativo del Governo si è inteso eliminare le discriminazioni, ora i figli sono uguali, senza aggettivi. Alla base di questa riforma non vi è solo una diversa concezione della famiglia, ma anche un differente approccio giuridico. Al centro della normativa vi è la tutela del figlio il quale, se ha compiuto dodici anni o anche meno se è in grado di discernimento, deve essere ascoltato su tutti i temi che lo riguardano come, ad esempio, sullo stabilire il genitore affidatario. Attraverso questa riforma si sono riallineate le norme del nostro diritto civile a quelle internazionali, ossia alle previsioni dell’art. 2 della Convenzione di New York del 1989 in riferimento all’ascolto del fanciullo e dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1996 in tema di esercizio dei diritti del fanciullo. Una conseguenza di questo diverso approccio è il cambiamento terminologico legislativo di potestà genitoriale (potestà dei genitori di proteggere, educare e tutelare gli interessi dei figli) in responsabilità genitoriale che definisce in maniera più adeguata l’impegno dei genitori e pone in risalto il superiore interesse dei figli minori.
Un altro aspetto fondamentale del provvedimento in esame è che il Governo ha esercitato la sua delega garantendo la piena uguaglianza, anche ai fini ereditari, dei figli, compresi quelli adottivi. Inoltre, le norme relative alla filiazione producono effetti successori nei confronti di tutti i parenti e non solo rispetto ai genitori.
In questa linea è da evidenziare un’ ulteriore progresso rispetto alla legislazione precedente. In essa non vi era parificazione parentale come nipoti, cugini. Con quella attuale, i figli sono, per diritto, parenti dei parenti di entrambi i genitori. Ai nonni, in particolare, è riconosciuto il diritto ad avere rapporti significativi con i nipoti ed agire in giudizio per la tutela di questo diritto. E’ una conquista, come ha affermato il Sottosegretario al Ministero della Giustizia Cosimo Maria Ferri, frutto della forte determinazione dei nonni “illegittimi” che hanno chiesto strumenti giuridici che assicurassero loro la possibilità di frequentare e di occuparsi almeno per un poco dei nipoti, anche nel caso in cui i rapporti con i genitori siano compromessi.

Cities for life
Il 29 novembre la Comunità di S. Egidio nelle sale del Campidoglio ha promosso l’ VIII Meeting Internazionale “No justice without life”, un summit internazionale per l’abolizione della pena di morte. All’ evento hanno partecipato il presidente del Senato Pietro Grasso, il sindaco di Roma Ignazio Marino, il presidente della Comunità di S. Egidio Marco Impagliazzo, il rappresentante speciale per i diritti umani della Commissione europea Stavros Lambrinidis, ministri della Giustizia e rappresentanti di 22 Nazioni. Il Meeting rappresenta un consolidato appuntamento in cui giuridici, politici ed importanti esponenti della società civile di diversi Stati si sono confrontati ed hanno individuato gli obiettivi da cercare di raggiungere nel corso dell’anno. Dalla discussione sono emerse alcune importanti considerazioni. La prima è che l’abolizione della  pena di morte è una meta talmente grande, che principalmente attraverso uno sforzo comune è possibile sensibilizzare le coscienze dei cittadini e costituire gruppi in grado di esercitare una pressione sui politici per farla abrogare. In questa direzione è stata promossa, dalla Comunità di S. Egidio, la “Giornata internazionale Città per la vita, contro la pena di morte” per il 30 novembre. Essa ha visto la partecipazione di oltre 1600 città, fra cui vi sono 70 capitali. Ognuna di esse ha offerto il proprio contributo in modo diverso, ad esempio attraverso una marcia, una raccolta di firme. A Roma vi è stata l’illuminazione speciale del Colosseo con testimonianze del Braccio della Morte e di persone fortemente impegnate nella Campagna per l’abolizione della pena di morte. Un’altra importante considerazione emersa in occasione del Meeting è che prevedere la pena di morte significa, di fatto, far dipendere la vita di un individuo dall’altrui volontà. Essa può essere orientata da un desiderio legittimo (combattere la delinquenza, il narcotraffico) , ma accettare questa sanzione significa introdurre l’idea che l’esistenza in vita possa dipendere da una serie di condizioni che la permettano. Ieri la purezza razziale, oggi la condivisione al regime e domani? Se quindi nessuno potrebbe condannare a morte (sia pure per plausibili motivazioni), il diritto alla vita è inalienabile. Inoltre, il dominio assoluto sulla vita altrui darebbe alla libertà umana un carattere di incontestabile arbitrarietà. In questa linea, quando la Comunità di S. Egidio dichiara che il rispetto incondizionato del diritto alla vita di ogni persona è uno dei pilastri su cui si regge ogni società civile, vuole semplicemente promuovere uno Stato umano. Uno Stato che riconosca come suo primario dovere la difesa dei diritti fondamentali della persona, specialmente di quella più debole.  
   
Fiorella Ialongo  


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