Recentemente tornato in Sky dopo il divorzio furente con
"Sky Calcio Show", il giornalista milanese affascina la platea con
racconti che mescolano sport e vita come pochi altri.
Roma, 04 giugno - "Chi sa solo di calcio, di calcio
non sa nulla". Lapidaria, affascinante e quanto mai vera, la frase con cui
Federico Buffa sceglie di chiudere ogni puntata del suo "Storie
Mondiali" racconta più di ogni altra un universo che solo chi segue lo
sport con il cuore aperto può comprendere fino in fondo. Con dieci puntate che
hanno avvicinato passo dopo passo il pubblico di Sky al Mondiale in Brasile, il
giornalista milanese ha infatti sancito il suo ritorno in grande spolvero nel
movimento sportivo più seguito dell'Azienda, dopo il burrascoso addio a Sky
Calcio Show per le note divergenze con la linea conduttrice programmate dalla
D'Amico.
Avrebbe potuto scegliere di raccontare il calcio come
qualsiasi altro giornalista, Buffa, e probabilmente l'avrebbe fatto comunque
meglio degli altri; ha scelto, invece, di raccontare quel che trascende, il
particolare, il momento in cui lo sport e la vita si tingono della stessa
sfuggente sfumatura del tramonto e collimano in quelle estenuanti saturazioni
di significato che permettono di intravedere il segno del destino, la chiave di
lettura che garantisce il senso allo spettacolo che si ha davanti agli occhi.
Resta, certamente, il dubbio che tutto non sia altro che un sogno immaginario
ed effimero, magari anche condizionato da un cervello che cerca strenuamente di
mettere ordine in un mondo caotico, in un enigma la cui risposta non è data di
sapere, eppure il Buffa cantastorie è talmente coinvolgente da lasciar credere,
per più di qualche attimo, che attraverso il suo narrare le linee del destino
siano magicamente dispiegate davanti ad un pubblico finalmente consapevole e
letteralmente attonito nell'osservare quanto fosse facile vedere quello che
l'Avvocato vede e racconta per noi: l'inarrivabile classe della Selecciòn
Argentina nascosta dietro la sensualità di un dolcissimo tango, il tifo
sfegatato dei monaci del Tibèt per il Manchester United a sigillarne la
proclamazione come squadra più seguita del pianeta, il karma che insegue la
carriera di Alessandro Del Piero e ne premia la costante abnegazione, seppure
in mezzo a mille difficoltà. Ad ascoltare Buffa si resta affascinati
irrimediabilmente, intrappolati tra pronunce di nomi stranieri clamorosamente
precise e racconti di pezzi di vita personale (celebri i suoi "vorrei
concludere con un aneddoto"), piccole ma luccicanti perle che illuminano
sulla sua incredibile cultura personale, una cultura che sembra sconfinata
quando si passa dallo spiegare un contratto di lavoro calcistico alle
motivazioni che spinsero i generali del Nord a risparmiare la cittadina di
Savannah, in Georgia, durante la Guerra Civile Americana.
La domanda a cui Buffa mette definitivamente davanti,
insomma, è quella che tutti quelli che inseguono il mestiere di giornalista o
di opinionista sportivo dovrebbero porsi almeno una volta nella loro carriera:
non bisognerà forse far leva su quelle emozioni e su quei dettagli di vita che
tutti noi umani condividiamo per far innamorare, o quantomeno interessare, ad
un determinato sport anche chi quello sport non lo segue per niente? La
riposta, credo, soffia in un epiteto: "Chi sa solo di calcio, di calcio
non sa nulla".
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