La
mafia in lupara e coppola, la mafia del pizzo e della minaccia è ormai
anacronistica. Oggi il mafioso veste in giacca e cravatta, si insinua come un
cancro nella società, una metastasi che agisce in modo silenzioso e
implacabile, e quando il corpo malato dello Stato se ne accorge sembra ormai
troppo tardi. La mafia italiana di oggi si è fatta più furba, il suo campo sono
gli appalti, l’edilizia, la gestione dell’immigrazione, il gioco d’azzardo. La
prostituzione no, quella la lascia ai clan albanesi e romeni che agiscono nel
nostro Paese. Il fatto che la mafia non si veda, non significa comunque che non
esista, ma solo che si è inserita abilmente nell’imprenditoria, nella politica,
nelle istituzioni, ovunque. La mafia è un male, il peggior male che esista nel
nostro Paese, ed è riuscita a diventare così potente e onnipresente anche
perché gli anticorpi dello Stato non sono mai stati abbastanza efficaci nel
contrastarla. Già agli inizi, quando usava davvero lupara e coppola, la mafia
garantiva quei servizi che uno Stato cronicamente addormentato non riusciva a
garantire: dal prestito a interesse (anche se in questo caso si chiama
strozzinaggio) all’appalto edilizio, passando per permessi, importazioni,
commercio, assicurazioni (pizzo) e persino cure mediche. Bernardo Provenzano,
primo boss a capire come quello della sanità fosse una miniera d’oro, aveva tra
i suoi protetti un certo Michele Aiello, il re Mida della sanità italiana,
proprietario di cinque istituti medici, tra cui Villa santa Teresa, un centro
di oncologia che in Italia ce lo sogniamo. Molti dei servizi concessi dalla
mafia, quindi, erano semplicemente quelli che lo stato non riusciva ad
compiere. Ovviamente tutti questi “servizi” da sempre vengono concessi a prezzo
di estorsioni, minacce, omicidi, appalti truccati, corruzione, armi che la
mafia ancora utilizza (si è data una facciata imprenditoriale, vero, ma certe
abitudini rimangono) per mantenere il suo strapotere. Uno Stato che sia in
grado di assolvere pienamente i suoi doveri verso il popolo sarebbe la migliore
arma contro la mafia, dal momento che non le lascerebbe mai liberi quei campi
economici, politici e sociali che la mafia occupa oggi. Ma lo Stato italiano ha
fatto di più: non solo non ha sconfitto (o almeno combattuto efficacemente) la
mafia, ma ne è diventato parte. Uno Stato nello Stato, con tutti i vantaggi
(per i clan e le lobby politiche e imprenditoriali) e svantaggi (per gli
italiani onesti). Il nostro è oggi un paese devastato da una classe politica
incapace, impoverito dalla mancanza di istruzione, di lavoro, di economia, di
tutto. Soffocato da una burocrazia preistorica, indebolito da un individualismo
patologico e dal menefreghismo totale, con un popolo addormentato e ancora
convinto (almeno fino a poco tempo fa, si spera) che la mafia fosse solo una
faccenda del sud, un male confinato nelle terre della Campania (camorra),
Calabria (’ndrangheta), Sicilia (Cosa nostra) e Puglia (Sacra corona unita). Ma
scoperchiando la Cupola della Mafia Capitale in questi giorni, non abbiamo
fatto altro che scoprire l’acqua calda. Che la mafia fosse presente a Roma lo
si sapeva già agli inizi della Banda della Magliana, quando Maurizio Abbatino,
Enrico “Renatino” De Pedis e Franco Giuseppucci occuparono il vuoto capitolino
lasciato dal clan dei marsigliesi, storici alleati di Cosa nostra. Tramite
Ernesto Diotallevi, inoltre, la Banda intratteneva lucrosi rapporti con gente
del calibro criminale di Stefano Bontate e Pippo Calò. Calò stesso si stabilì
poi a Roma come ambasciatore e cassiere di Cosa nostra. Il nostro, oggi, è un
paese devastato da una classe politica incapace, impoverito dalla mancanza di
lavoro, istruzione, economia sana, di tutto, Soffocato da una burocrazia
preistorica, da un individualismo patologico e dal totale menefreghismo. Un
Paese talmente narcotizzato da lassismo, omertà e pigrizia da non rendersi
nemmeno conto del cancro criminale che lo sta divorando, un cancro chiamato
mafia, che proprio sulle mancanze e debolezze dello Stato Italiano prospera e
si fortifica.
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venerdì 19 dicembre 2014
Stato assente, mafia onnipresente di Emiliano Federico Caruso
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